Frattini
Esercizi di armonia - Stefania Zuliani
Nel rigore della composizione (che è sempre, letteralmente, costruzione), nell’equilibrio mai scolastico del colore puro, nella concisione misuratissima del gesto, studiatamente inespressivo, prende stabile forma la pittura di Vincenzo Frattini. Una pittura astratta non certo per assenza - di figura o di racconto – ma per appartenenza, non rivendicata ma chiaramente vissuta, ad una tradizione d’avanguardia. L’artista, per giovane generazione lontano tanto dalle grandi avventure moderne, dagli umori inquieti d’utopia che animavano a inizio Novecento la «profezia di una società estetica» (Menna), quanto dalle disinibite diaspore linguistiche postmoderne, dalle nomadi navigazioni attraverso i tempi e le tecniche della storia dell’arte di cui si è nutrita l’esperienza della Transavanguardia e dei Nuovi Selvaggi, nel presentare brevemente il proprio lavoro più recente (Pittura 3D) non ha infatti esitato a ricondurre la tensione costruttiva di questi suoi asciutti oggetti pittorici all’esigenza di «riordinare e riequilibrare» per forza di colore e di calibrata forma il caos ingovernato in cui l’artista vive e lavora. Un desiderio (un progetto, in realtà) che non può non riconoscere le sue, fossero pure involontarie, premesse nella grande pittura astratta del primo Novecento, in particolare nelle ortogonali silenziose e integerrime di Mondrian, che proprio nella creazione di una «nuova armonia» aveva posto il senso ultimo del suo fare arte. Così, a riallacciare la pittura ritmica di Frattini alla lezione dei maestri dell’astrazione (senza ovviamente dimenticare la mediazione di Forma1 e degli artisti che in Italia hanno difeso in tempi ostili le ragioni dell’arte astratta) non è in realtà l’elemento squisitamente estetico, l’utilizzo di precise campiture piatte che l’artista ricompone e combina attraverso l’assemblaggio scrupoloso dei supporti – ad ogni singola superficie colorata corrisponde una singola tela e la distanza fra l’una e l’altra, all’interno di ogni opera, resta un sottile intervallo, una pausa breve che è respiro del pensiero – perché non sta nella forma ma nelle sue ragioni l’affinità più profonda che lega la sua ricerca a quella dell’astrazione moderna. Moderna e non modernista, poiché non è certo il mito, celebrato fino allo sfinimento da Clement Greenberg, della flatness, della riduzione alla superficie ad animare il lavoro tutt’altro che puro di Frattini, non a caso disponibile anche ad incursioni nel video e nella scultura: il suo non è un raffreddato gesto di sottrazione ma una pratica di intervento attivo, di elaborazione e non di cancellazione delle contraddizioni di cui s’innerva la realtà. «Ogni volta che facciamo attenzione distruggiamo il male in sé» ha scritto Simone Weil, e lo scrupolo, la pazienza, la cura con cui Frattini realizza le sue opere sono garanzia di un lavoro che, senza rinunciare alla libertà dell’invenzione, vuole porsi come un gioioso esorcismo contro l’approssimazione, un esercizio paziente di armonia che sa correre il rischio della solitudine.