Frattini
Tratto da: LA SCULTURA DOPO IL DUEMILA, Idolatria e iconoclastia. ( testo catalogo mostra 2015)
Ada Patrizia Fiorillo
Di armonia, ma condensata in un preciso rigore progettuale richiamato per via di astrazione ci dicono i lavori di Vincenzo Frattini attento, e non da ora a decantarli da sovraccarichi di simbologie. Muovendo con facilità dal piano allo spazio, l’artista segue infatti una coerente linea di costruzione della sua esperienza, per la quale è interessato a direzionare il flusso delle immagini verso una razionalità innalzata oltre la molteplicità caotica del mondo di cui avverte il riflesso all’interno del suo stesso habitat quotidiano. La sottile vena autobiografica che entra nelle sue opere non intacca l’oggettiva visione che li attraversa. Frattini calibra i gesti, sottrae spazio alla materia, cerca il colore, lo porta alla luce scoprendo infinite possibilità di accordi cromatici. Bisogna fare pertanto attenzione; non è un gioco estetizzante il suo, né uno sterile esercizio di decorazione. Le sue forme quali Senza titolo 10-14, Senza titolo 21-14, Colonna 24-14, fino ai piccoli oggetti come L’ ora del tè è passata, Ferro da stiro o Telefonate che allungano la vita, tutti realizzati nel 2014, sono il frutto di un’aspirazione ad uno stato di quiete, un’istanza che si veste di ritmo e di circolarità gettando un richiamo alla distrazione, ma verrebbe da dire anche alla distruzione. Nella sottrazione, nella deliberata ricerca di un’invenzione, Frattini interroga la forma, vi investe una parte di sé per ritrovarvi un equilibrio. Amplifica in tal senso l’immagine andando oltre il substrato materiale; su di essa fa leva per alimentare la vita, colta nei suoi gradi di razionalità e spiritualità. Viene in tal senso in mente la grande lezione di Mondrian e ciò che di questi ha appuntato Jean Brun. “L’astratto - si legge - è un’interiorità condotta alla sua più limpida definizione o, ancora, è l’esteriorità più intimamente interiorizzata”.